Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/389


IL CAMPIELLO 383

NOTA STORICA


Quale festa per noi e pei nostri vecchi, che l’udirono per la prima volta il 20 febbraio 1756 al san Luca (v. in questo vol. la Nota stor. a La D. stravagante) questo giocondo Campiello! ivi, all’intorno, quasi tutte modeste casette abitate da popolino; fanciulle e vecchie sporgentisi da l’altana, allorchè le invita a tentare la sorte con la sua Venturina il giovane mercantucolo Zorzetto; o le sentite ricambiarsi affabili saluti, quando non siano contumelie per le piccole immancabili gelosie; ivi dopo la baruffa, presto presto la pace, e rieccole tutte d’amore e d’accordo, sedute in giro all’aperto, intente al giuoco della sèmola; donde nuovamente occasione ad altri litigi, e a solleciti rappacificamenti. Tutte poi, va senza dirlo, oltre a scilinguagnolo sciolto, hanno il loro innamorato; o che vorreste, due bei tocchi di ragazze come la Gnese e la Lucietta vivessero senza uno straccetto di spasimante? Financo le loro madri ne sospirano uno, appena le avranno accasate, sebbene tutte due oramai vecchie ammuffate, l’una sorda, l’altra sdentata: donna Catte Panchiana, e donna Pasqua Polegana. «O non vi par di vederle le due grasse e rubiconde comari del soprannome grave e sonoro?» domandiamo anche noi con Attilio Momigliano, che pubblicò sul Campiello uno studio assai coscienzioso e sottile (ne l’Italia moderna 31 gennaio 1907).

E dove lascio, dopo queste macchiette tipicamente veneziane, la leziosa e ignorante Gasparina, che a darsi tono, pronuncia la lettera esse come fosse una zeta; l’imbronciato signor Fabrizio suo zio, dimorante con lei in una casa dello stesso campiello, dalla quale conta i momenti di sgomberare, seccato degl’incessanti schiamazzi di quelle femminucce; e dove lo sciupone di cavaliere forestiero, che invece ai cicalecci di costoro se la gode un mondo, e che a riassestare le smunte finanze, finirà per sposarsi la Gasparina, arcicontenta di diventare luztrizzima?....

Intreccio nella gaia commedia che Gino Damerini disse, e disse bene, «argutamente verista» (Gazz. di Venezia 9 febbr. 1908), punto; e punto caratteri, tranne quello di Gasparina che però, nota a ragione il Momigliano (op. cit.), non è una popolana del campiello. Protagonista si direbbe il campiello stesso, dove si svolgono graziosi episodi, uno più ameno dell’altro; sicchè in cambio d’una vera azione, si ha una commedia d’ambiente, o, se meglio vi piace, un quadretto di genere, per vigile e acuto spirito d’operazione degno di Pietro Longhi, con in più il movimento, il brio, il colorito insuperabile della scena goldoniana. Aggiungete un amore di dialogo breve, che non si lascia impacciare dalla versificazione (endecasillabi e settenari liberamente alternati e rimati); ma anzi ne acquista maggior concitamento, onde per una volta tanto non ci sentiamo di rimpiangere la prosa di fronte alla secchezza tortuosa che il metro suol sovrapporre alle snelle e spezzate andature della parlata teatrale. Finalmente, anche in questo Campiello, e mirabile, lo notò già Giacinta Toselli