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346 ATTO TERZO

SCENA IX.

Sansuga e detti.

Sansuga. La comandi.

Cavaliere. Preparate
Un desinar per tutti; e dite al cuoco,
Che onor si faccia.
Sansuga. L’anderò a avvisar.
Lucietta. No, no, aspettè, che mi vôi ordenar.
Cavaliere. Comandate, sposina.
Lucietta. Voleme i risi colla castradina,
E dei buoni capponi, e della carne,
E un rosto de vedello, e del salà,
E del vin dolce bon, e che la vaga;
E fè pulito, che el compare paga.
Orsola. E mi farò le frittole.
Lucietta. Se sa.
Orsola. Ma sior compare me le pagherà.
Sansuga. Xela contenta de sto bel disnar? (al Cavaliere)
Cavaliere. Io lascio far a loro.
Sansuga. No la xe
Roba da pari soi.
Cavaliere. Se non importa a me, che importa a voi?
Cate. Che ghe sia del pan tondo.
Sansuga. El ghe sarà.
Pasqua. Fene della manestra in quantità.
Orsola. Del figà de vedello.
Anzoletto. Una lengua salada.
Zorzetto. Quattro fette rostìe de sopressada1.
Cate. Delle cervelle tenere.
Orsola. Bisogna sodisfarne.
Sansuga. Debotto è più la zonta della carne. (parte)

  1. «Sorta di salame che si mangia in fette»: Boerio. Dicesi anche sopressa.