Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/35


LA VILLEGGIATURA 29


in una villeggiatura non s’abbiano ad aver solamente quelle persone che piacciono; ma che si debbano soffrire ancora quei che dispiacciano. Se don Gasparo volesse fare a mio modo... ma egli non si cura di niente. Non bada a chi va e chi viene. Tanti giorni non sa nemmeno chi mangi alla nostra tavola. Egli non pensa ad altro che alla sua caccia, e a divertirsi con i suoi villani. Bel marito che mi ha toccato in sorte! Ehi, chi è di là?

Zerbino. Signora.

Lavinia. È ritornato ancora il padrone?

Zerbino. Non signora, non si è ancora veduto.

Lavinia. A che ora è partito questa mattina?

Zerbino. Appena, appena si vedeva lume. Quei maledetti cani da caccia mi hanno destato, ch’io era sul primo sonno.

Lavinia. Che indiscretezza! partir dal letto senza dirmi nemmeno addio.

Zerbino. Non le ha detto niente, prima di levarsi dal letto?

Lavinia. Non l’ho sentito nemmeno.

Zerbino. È molto che non l’abbia sentito, perchè, quando s’alzò il padrone, poco tempo poteva essere passato da che ella erasi coricata.

Lavinia. Così credo ancor io; ma il sonno mi prese subito.

Zerbino. Tutti due dunque si sono portati benissimo. Ella coricandosi ha lasciato dormire il marito, ed egli alzandosi non ha disturbato la moglie.

Lavinia. Gran dire! che con don Gasparo non si vada d’accordo mai.

Zerbino. Anzi mi pare che vadano d’accordo bene. Se ciascheduno fa a modo suo, non ci sarà che dire fra loro.

Lavinia. Sarà andato alla caccia dunque.

Zerbino. Sì signora. Ha preso seco i suoi cani, il suo schioppo, un uomo con del pane, del salame e del vino, e camminava come se fosse andato a nozze.

Lavinia. Eh, quando andò a nozze, non camminava sì presto!

Zerbino. Sento i cani che abbaiano. Il padrone sarà tornato.