Rinaldo. Possono i cenni vostri trarmi ’ve più v’aggrada;
Anderò tra le fiamme, se a voi piace ch’io vada.
Veggovi da per tutto con gioia e con diletto.
Ma spiacemi vedervi in loco altrui sospetto.
Livia. Perdonar si può bene quest’ultimo deliro,
A donna che sacrifica se stessa in un ritiro.
Rinaldo. Ah sì, di don Riccardo suo fine ha la minaccia:
Me l’ostentò egli stesso barbaramente in faccia.
Dunque a sì fier comando vi rassegnaste umile?
Livia. Chiudermi per suo cenno? alma non ho sì vile.
Volli il novel mio stato eleggere da me.
Rinaldo. Voi rinunziare1 al mondo? Idolo mio, perchè?
Livia. Non so. Dalla germana mi si fa un torto indegno.
In voi, più che l’amore, so prevaler lo sdegno.
M’odiano i miei congiunti, mi opprime il dolor mio.
Odio l’ingrato mondo; vo’abbandonarlo. Addio.
Rinaldo. Ah, se miglior consiglio non vi favella al cuore.
Lo stato a cui cedete, per voi sarà peggiore.
Pace al ritiro invita, non ira e non impegno.
Non quel livor domestico, d’una bell’alma indegno.
Se amor di casta vita scendesse in cuor più saggio,
A costo del mio duolo saprei darvi coraggio.
Ma in voi predominando l’ira, l’affanno, il tedio,
Vuol l’amor mio che vi offra più facile il rimedio.
Della germana il torto può riparar la mano
Di un che vi adora, e sdegnasi con chi v’insulta invano.
Dell’amor mio le prove con sì bel mezzo avrete.
Torna lo zio ad amarvi, docile allor che siete.
Renda sereno il viso bell’animo giocondo;
Può, chi ragione intende, viver felice al mondo.
Che vi par, donna Livia?
Livia. Vorrei... ma il mio rossore...
La man, gli affetti vostri mi si offrono di cuore?
Rinaldo. Non ardirei di farlo, senza un consiglio interno.
- ↑ Guibert-Orgeas. Zatta e altri: rinunziaste.