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278 | ATTO QUINTO |
Quando l’avrò veduto, sarò contenta appieno;
Potrò più facilmente staccarmelo dal seno.
Strano direbbe alcuno il mio pensier fallace.
Ma posso compromettermi di rivederlo in pace.
E parmi cotal forza aver nel seno mio,
Da dirgli francamente: sì, don Rinaldo, addio.
E se il cuor mi tradisse? No, dubitar non giova,
Vo’ far del mio coraggio, vo’ far l’ultima prova. (parte)
SCENA XIV.
Strada come sopra, colla casa e loggia solita.
Don Properzio e don Medoro escono dalla porta.
Medoro. Ci hanno lasciati soli; ci ha ciaschedun piantato.
Properzio. Donna Livia promise di ritornar, ma invano.
Medoro. Don Riccardo con noi potea parlar più strano?
Properzio. Non soffre volentieri, che siano visitate
Le due nipoti in casa. Vuol che stian ritirate.
Medoro. Per me più non le vado a visitar, lo giuro.
Properzio. Nè il tempo mio vo’ perdere sì mal, ve l’assicuro.
Medoro. Ora poi, che si dice che donna Livia andrà
Sollecita in ritiro.
Properzio. Che sia la verità?
Parmi ancora impossibile, ch’ella lo soffra in pace.
Medoro. Una, qual lei fantastica, d’un’altra è più capace.
Properzio. Senza far all’amore star non saprebbe un’ora,
E quando vede un uomo, cogli occhi lo divora.
Medoro. Le nozze della suora saran di ciò cagione.
Properzio. Dunque la sua dovrebbesi chiamar disperazione.
Medoro. Vedete don Rinado col paggio a questa volta.
Properzio. Che sì, che se le parla l’amico, la rivolta?
Medoro. Veggiam s’egli entri in casa.
Properzio. Restiamo inosservati.
Medoro. Dietro di quella casa coperti e rimpiattati, (si ritirano)