Bastami i brevi giorni nutrir con poco pane.
Datemi un foglio adesso, rinunzio alla germana
Quanto di bene ho al mondo. Mandatemi lontana;
Onde di me non giunga dal mio felice nido,
Dove vivrò contenta, memoria a questo lido.
Riccardo. (O delira, o s’infinge). (da sè)
Rosa. Che favellare è il vostro?
Livia. Quel che nell’alma ho fisso, sinceramente io mostro.
Non crediate ch’io fìnga. Conosco il mio talento.
Pace aver qui non spera il mio temperamento.
Son fiera, intollerante, da mille smanie oppressa;
Talor, ve lo confesso, abborrirei me stessa.
Chi ha da soffrir tal peso? megli’è che sola io viva;
Stabile sarò sempre, se di variar son priva.
Signor, deh permettete...
Riccardo. Qual cangiamento strano!...
Livia. Non mi mortificate; porgetemi la mano.
Riccardo. Ma come mai?...
Livia. Vi prego. L’ultimo dono è questo.
Che la nipote or chiede a un cavaliere onesto.
Riccardo. Son fuor di me. Tenete, per compiacervi.
Livia. Imprima
Su questa mano i segni il cuor della sua stima;
Grazie per me vi renda, per il paterno zelo
Onde voi mi soffriste, grazie vi renda il cielo.
Germana, ogni passato livor si spenga e taccia,
Col cuor vi bacio in viso; vi stringo alle mie braccia.
Rosa. (Le lagrime davvero mi fa cader dagli occhi). (da sè)
Riccardo. (Ancor dubito e temo che finga, e m’infinocchi), (da sè)
Nipote, io sperar voglio, che di virtude un raggio
Scenda nel vostro cuore a renderlo più saggio.
Godrò, che rassegnata al cielo ed alla sorte.
Non vi rincresca o pesi l’andar tra ferree porte.
Ma sia finto o sincero il labbro, il cuore, il guardo,
È già il destin fissato, ed il pensarvi è tardo. (parte)