Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/269


LA DONNA STRAVAGANTE 263
Livia.   Non son stracca.

Marchese. Sedete, non sedete, non me n’importa un’acca.
Cecchino. (Propriamente innamorano.) (da sè)
Livia.   Io in piedi, e voi seduto?
Dite, signor Marchese, a che siete venuto?
Marchese. Per rilevar da voi se mi vorrete amare,
Senza che vi proviate a farmi cospettare.
Livia. Di rendervi contento non averci riguardo.
Ma ho qualche dipendenza. Che dice don Riccardo?
Marchese. Mi fe’ con una strana difficoltà ridicola
Strillar contro i pianeti e contro la canicola. (s’alza)
Livia. Qual obbietto vi oppose?
Marchese.   Udite, s’è una razza...
Dissemi: mia nipote? non la prendete, è pazza.
Lo so, risposi a lui....
Livia.   Lo so, gli rispondeste?
Marchese. Lo so, ma non importa.
Livia.   Che villanie son queste?
Così non si favella. Di perdermi il rispetto
Farò pentirvi, il giuro.
Marchese.   Basta così, cospetto!
Livia. Pretender le mie nozze, signor, non vi consiglio.
Che correre potreste di perdere il periglio.
Son donna intollerante più assai che non credete,
E se pazzia m’offuschi, or or lo proverete.
Marchese. Basta così, vi dico. Credea non fosse nata
Donna di me più strana, e alfin l’ho ritrovata.
Sovente amor mi stimola a procacciar mie doglie.
Ma presto il cor mi sgombra desio di prender moglie.
Stamane era infuriato per divenir marito.
Se fatto oggi l’avessi, doman sarei pentito.
Il lucido mi è reso da voi per mia fortuna.
Non vo’ più donne, il giuro. Cospetto della luna! (parte)

E