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260 | ATTO QUARTO |
Livia. Oibò, ti puzza il fiato.
Presto, presto tabacco.
Servitore. Son pur male imbrogliato.
Ecco.
Livia. La tabacchiera. Non mi toccar la mano.
Servitore. Si serva come vuole.
Livia. Stammi pur da lontano.
(prendendo tabacco)
Servitore. Così, come diceva, sentii dir al padrone,
Che volentieri avrebbe.... (in tasca la ripone?)
Livia. Segui.
Servitore. Se il ciel destina, se si compiace e vuole....
(patetico)
Signora, mi perdoni, perdute ho le parole.
Livia. Perchè?
Servitore. Perchè mi aveva per grazia sua donato
Quella scatola, e poi...
Livia. Briccone, or ti ho squadrato.
(s’alza)
Per la speranza ingorda di trarmi dalle mani
Qualche mercè, seguisti lo stile de’ mezzani.
Servitore. Obbligato, signora.... (in atto di partire)
Livia. Vien qui. Dove vai tu?
Servitore. Che mi si rompa il collo, se ci ritorno più. (parte)
SCENA IX.
Donna Livia, poi Cecchino.
Il ver non è possibile sapersi da costoro:
O scemano le cose, o aggiungono a talento.
Colui parlar faceva la scatola d’argento.
Ma i detti suoi dovevansi esaminare almeno.
Quando il furore assaltami, non so tenermi in freno.