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254 | ATTO QUARTO |
La brama in don Rinaldo sollecita un marito.
L’amo ancor, non lo nego, ma d’irritarlo ho in uso;
Or con note amorose seco mi spiego, e scuso.
L’invito, lo addormento, e a far ch’egli mi creda,
Bastami che mi ascolti, mi basta ch’ei mi veda.
SCENA IV.
Donna Rosa e la suddetta.
Livia. Venga, signora sposa.
Non lasci che i suoi titoli la rendano orgogliosa:
È principe, è marchese, è duca, è coronato
Lo sposo, che al suo merito le stelle han destinato?
Rosa. Sospendere potete lo scherno, amabil suora;
Comandano le stelle ch’io non lo sappia ancora.
Livia. Non si formò il contratto tra i fortunati eroi?
Rosa. Rinunzio a tal fortuna, e ve la cedo a voi.
Livia. Grazie dell’onor massimo che degnasi di farmi.
Dovrei di un sì bel dono sommessa approfittarmi;
Ma quel che dai begli occhi fu tocco e affascinato,
Me sdegnerebbe in cambio sposa mirarsi allato.
Rosa. Il cavalier propostomi è tal, ve lo protesto,
Che cambierebbe in meglio con sì felice innesto.
Livia. Non vi capisco.
Rosa. Udite. Al cavalier sublime
Congiunte son di sangue le illustri case, e prime;
E ha tai dovizie e onori, e ha nome tal nel mondo,
Che a pochi in patria nobile può renderlo secondo.
Altra di me più saggia ne daria grazie al nume;
A me spiace il suo volto, dispiace il suo costume.
O pur dirò che il fato in me difetti aduna,
Che degna non mi rendono di simile fortuna.