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LA DONNA STRAVAGANTE 253
Livia. Cecchino.

Cecchino.   Mi comandi.
Livia.   Reca questo viglietto
A don Rinaldo subito, e la risposta aspetto.
Cecchino. Sarà servita.
Livia.   Osserva nel leggerlo ben bene,
Quali moti egli faccia.
Cecchino.   (Da ridere mi viene.) (da sè)
Livia. Sappimi dir, se lieto ei ti rassembri in viso;
Se avesse mai di lagrime l’occhio dolente intriso;
Se nell’aprire il foglio, la man gli tremi, e come
Leggere ansioso mostri di donna Livia il nome.
Guarda, osserva, raccogli, se il foglio mio gli è grato.
Cecchino. E se me lo rendesse il Cavalier stracciato?
Livia. Se tal disprezzo io soffro, non mi venir più innante.
Ma nol farà; son certa che don Rinaldo è amante.
È un amator sdegnato; tal della donna è il vanto;
Forzato è dalla speme venir biscia all’incanto.
Vanne, ritorna lieto, quale il cuor mio ti aspetta.
Cecchino. (Oh, di superba femmina prosunzion maledetta!
Pretende che l’amante di tutto abbia a scordarsi.
Se don Rinaldo è un uomo, stavolta ha da rifarsi.
Lo goderei, lo giuro, vederlo ricattato,
A costo anche di perdere, e di essere picchiato.)
(da sè, indi parte)

SCENA 111.

Donna Livia sola.

Questa volta m’indusse, più che l’amor, lo sdegno,

A usar contra mia voglia un atto di me indegno.
Il trattamento strano del zio meco incivile
Resemi coll’amante dolce, discreta, umile;
Prima che alle mie nozze non diasi il compimento,
Veder della germana non vo’ l’accasamento.