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250 ATTO TERZO

SCENA X.

Donna Livia e Cecchino.

Livia. Così mi parla in faccia labbro orgoglioso e baldo?

Ah, fosser noti almeno miei torti a don Rinaldo!
Ma non li cura ingrato. Sì, ancor vo’ lusingarmi,
Ch’ei torni a rivedermi, ch’ei vaglia a vendicarmi.
Calmisi il mio furore, soffra l’usato orgoglio;
A lui, che alfin m’adora, giunga un tenero foglio.
Lo formerò; ma in prima sappia lo zio indiscreto.
Che all’onta ch’io ricevo, protesto e non mi accheto.
Seguimi; non lasciarmi. Ho di te duopo; o numi!
(a Cecchino)
Come la sorte a un tratto cambiar fa di costumi!
No, perfida germana, no, tu non mi precedi.
Se anche gettar dovessimi di don Rinaldo ai piedi. (parie)
Cecchino. Oh, se vedessi questa, vorrei pur rider tanto!
Sarebbe un bell’esempio delle superbe al vanto.
È ver che donna Livia ha indocile talento.
Ma un cuor ch’è stravagante, si cambia in un momento.
(parte)

Fine dell’Atto Terzo.