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246 | ATTO TERZO |
Se a dir mi provocate...
Properzio. Padrona. (parie)
Medoro. Riverisco. (parie)
SCENA VII.
Donna Livia e Cecchino.
Cecchino. Mel diede don Rinaldo.
Livia. Disseti nulla in voce?
Cecchino. Nulla.
Livia. Oimè! mi vien caldo.
Apri quella finestra, e non tornar fin tanto
Che qui non ti richiami.
Cecchino. (Oh oh, vi è del mal tanto).
(si ritira)
Livia. Indegnissimo foglio! perfido chi ti ha impresso!
Cento insulti ha sofferti, e si risente adesso?
Dopo il perdon ch’ei m’ebbe richiesto, ed ottenuto,
Per più leggiera offesa sì indocile è venuto?
Leggiamole di nuovo queste superbe note:
Ah, di rossor nel leggerle si tingono le gote.
Io soffrirò che tale un amator mi scriva?
Da me ottener non speri perdono infin ch’io viva.
Signora. L’idol suo più non mi chiama? indegno!
Della signora aspettati a tollerar lo sdegno.
Signora. A tollerarvi son da lung’uso avvezzo,
Ma giunse ad istancarmi quest’ultimo disprezzo.
Che dissi mai stamane, che fosse oltre l’usato?
Ah sì, l’aspra catena cangiar l’ho provocato.
Ma ch’io da scherzo il dissi, non s’avvisò lo stolto?
Ah, che trascorre il labbro, allor che parla molto!
S’egli da me tornasse, direi che tal non fu...
Ma che da me non torni; non vo’ vederlo più.
(adirata, poi sospira)