Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/238

232 ATTO SECONDO
Delle sventure andate parlar più non intendo;

Da voi, da’ cenni vostri, in avvenir dipendo.
Fatemi il sole ardente, fatemi il gel soffrire,
Saprò pria di lagnarmi, pria di partir...
Livia.   Morire.
Questo è quel che mi piace, in uom che vanti affetto.
Rinaldo. Voi comandar degnatevi; io d’obbedir prometto.
Livia. Partite.
Rinaldo.   Ancor si cruda?
Livia.   Me d’obbedir vantate.
Ed al primier comando d’acconsentir negate?
Rinaldo. È ver, ma il cuor confonde con il desio il dovere.
Partirò per piacervi.
Livia.   (Povero cavaliere!) (da sè)
Fermate.
Rinaldo.   A’ cenni vostri pronto sarò qual devo.
Livia. Non partite per ora.
Rinaldo.   Per grazia io lo ricevo.
(Fra la speranza e il duolo mi sento il cuor dividere.)
(da sè)
Livia. (Povero appassionato! mi piace, e mi fa ridere.) (da sè)

SCENA VII.

Cecchino e detti.

Cecchino. Signora, è don Properzio unito a don Medoro,

Che riverirvi aspirano.
Rinaldo.   (Che vogliono costoro?) (da sè)
Livia. Sì, sì, vengano entrambi a divertirmi un poco.
Cecchino. Son veramente entrambi due cavalier da gioco.(parte)
Rinaldo. Perdon chiedo, s’io parlo. Stupisco che accettiate
Tai ridicoli arditi.
Livia.   Signor, come c’entrate?
Piacemi di ricevere chi voglio in casa mia.