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LA DONNA STRAVAGANTE 231
Di procacciar gl’insulti, di tollerarli invano?

Chi mi avvilisce a segno d’averne alto rossore?
Ah, chi consiglia è un cieco, chi mi avvilisce è amore.
Deggio in dì sì fatale tentar l’ultima sorte;
E se mi sprezza ingrata? qual sarà il fin? la morte.

SCENA VI.

Donna Livia ed il suddetto.

Livia. (Dolce obbedir quel cenno, a cui l’alma consente.

Sempre così comandi, lo zio mi avrà obbediente), (da sè)
Rinaldo. Eccola. Ah donna Livia, non mi fuggite almeno.
Livia. Mio zio vuol ch’io vi veda; posso per lui far meno?
Rinaldo. Soffro, perchè lo merto, questo linguaggio acerbo;
Se qua per me veniste, n’andrei troppo superbo.
Ma qual ragion vi guidi, esaminar non deggio.
Pietà, se non amore, bell’idol mio, vi chieggio.
Udir soffrite almeno dal labbro mio, che vi amo.
Che son fedele ad onta....
Livia.   Signor, quant ore abbiamo?
Rinaldo. L’ore per me son sempre funeste e dolorose.
Non girano le stelle che a danno mio sdegnose.
Dal dì che vi mirai, fin l’ultimo momento.
Notte a’ miei lumi eterna mi offerse il mio tormento.
Livia. E pur di breve notte so che vi pesa il giro.
Rinaldo. Eccomi a’ vostri piedi; toglietemi il respiro.
Ma non rimproverate colpa, da cui già sono
Fieramente punito.
Livia.   Sorgete; io vi perdono.
Rinaldo. Voce che mi consola; cuor generoso umano.
Grazia, grazia compita. Porgetemi la mano.
Livia. (Oh, del felice sogno immagini avverate!) (da sè)
Rinaldo. Deh, sulla destra almeno...
Livia.   (Vo’ tormentarlo.) Andate.
Rinaldo. È ver, troppo vi chiesi: ragion me lo contrasta.
Mi perdonaste, o cara, ed il perdon mi basta.