Ricuserò per voi d’ogni altro cuore il dono:
Donatemi, vi prego, la pace ed il perdono.
Non ti saprei, Cecchino, spiegar la gioia estrema.
Meco a seder l’invito; s’alza, s’accosta e trema.
La man gli porgo in segno del ridonato affetto;
Egli la bacia e stringe, balzami il cuor nel petto.
Sguardi, sospiri e vezzi... ma stolida ch’io sono!
Or dell’error m’avveggo. Di ciò con chi ragiono?
Con un fanciul, che appena sa che l’amor si dia.
Dove, aimè! mi trasporta la debolezza mia?
Tu, di quanto intendesti, non fare altrui parola.
Misero te, se parli. Dagli occhi miei t’invola.
Cecchino. Non parlerò, il prometto. (Oh che grazioso sogno!
Che ragazzate insipide! per essa io mi vergogno).
(in atto di partire)
Livia. Fermati.
Cecchino. Non mi movo.
Livia. Rimanti, e a me ti accosta.
Vo’ veder se dal foglio esigesi risposta.
Cecchino. Sembra, per dir il vero, che il Cavalier la brami.
Livia. Leggasi. Già mi aspetto che barbara mi chiami.
Che stanco sia di vivere negli amorosi affanni,
E di provar che i sogni son della morte inganni.
Donna Livia adorata. Amabil cavaliero!
Cecchino. (Se l’ama e la sopporta, è amabile davvero), (da sè)
Livia. Voi mi volete oppresso; ma interpretar io voglio,
Che da un geloso affetto provenga il mio cordoglio.
Ah, non fu vano il sogno! egli m’adora, il veggio.
Cecchino. (Misero! non s’avvede, che coll’amor fa peggio), (da sè)
Livia. Se reo nel vostro cuore d’intolleranza io sono,
M’avrete al piede vostro a chiedervi perdono.
Verificato è il sogno; verrà, verrà prostrato.
Cecchino. (M’aspetto più di prima vederlo strapazzato.) (da sè)
Livia. Se mi bramate in vita, donatemi un conforto;
Se disprezzar mi veggo, idolo mio, son morto.