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220 | ATTO PRIMO |
SCENA VII.
Donna Livia e detti.
Riccardo. Di che?
Livia. Dee mia germana sposar quel cavaliere?
Riccardo. Creder chi ciò vi fece?
Livia. Mel disse un mio pensiere.
Riccardo. Spesso il pensier inganna con i sospetti suoi:
Voi apprendeste gli altri a misurar da voi.
Livia. Signor, la preferenza che alla germana ho cesso,
L’onore mi consiglia di rivocare adesso.
Don Rinaldo ha impegnati meco gli affetti sui;
L’ardita potea scegliere ognun fuori di lui.
A rendermi schernita or che ciascun procura.
Riprendo in faccia vostra il dritto di natura.
(a don Riccardo)
Riccardo. Voi vi lagnate a torto; e chi è che vel contrasta?
Sollecitate a scegliere, non mi stancate, e basta.
Rinaldo. Se l’amor mio vi cale...
Livia. Amor so che v’impegna
A preferir gli affetti di un’anima più degna.
(con ironia, additando donna Rosa)
Rosa. Noto è a ciascun, germana, lo stil del vostro core.
Confondere vi piace lo sdegno coll’amore;
E il vostro amor volubile, e il vostro cuor geloso,
Vi fa col labbro a torto prorompere sdegnoso.
Per me dal zio dipendo; l’obbedienza ho in uso:
Parli, disponga, elegga; non cerco e non ricuso. (parte)
Riccardo. Di lei non so dolermi. Di voi fate del pari.
Che di doler non dianmi ragion quei detti amari.
Mi confidò l’amico, che amor nutre per voi:
È cavalier; ricordasi, mantien gl’impegni suoi;
E sia amor che lo sproni, o sia costante impegno,
Malgrado l’onte vostre, v’offre la mano in pegno.