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LA DONNA STRAVAGANTE 217
Voi di pensier solete cangiar spesso di volo;

Io soglio per costume nutrir un pensier solo.
Dunque di voi ciascuna mi spieghi i desir suoi,
O saprò quel ch’io penso risolvere di voi.
Padre sarò d’entrambe, s’entrambe figlie sono.
A chi schernirmi ardisce, nipote, io non perdono. (parte)

SCENA IV.

Donna Livia, poi donna Rosa.

Livia. Crede colle minaccie d’intimorirmi, il veggio;

Ma chi obbligarmi intende col minacciar, fa peggio.
Vita non diemmi alfine, quei che così mi parla;
Quando una cosa ho in mente, ho cuor da superarla.
E perchè in me s’accresca nel vincerla l’orgoglio.
Basta che mi si dica: non s’ha da far, non voglio.
Rosa. Dite, dov’è lo zio che a sè chiamar mi fece?
Livia. Di lui, che vi ha chiamata, me qui trovate in vece.
Rosa. Con voi star non isdegno, che vi amo e vi rispetto:
Ma se lo zio mi vuole...
Livia.   Quivi ancor io l’aspetto.
Rosa. Deggio aspettar io pure?
Livia.   Sì, se ciò non v’incresce.
Rosa. Far quel ch’ei mi comanda, dolcissimo mi riesce.
È un cavalier sì degno, sì docile, amoroso.
Che torto a lui farebbe un cuor men rispettoso.
Livia. Di quell’amor ch’ei vanta, avete voi gran prove?
Rosa. Le prove del suo affetto per noi non riescon nuove.
Orfane in età nubile di padre e genitrice,
Di più che può pretendersi, di più che sperar lice?
Ei ci ha raccolte seco, ricuperò l’entrate,
Dal prodigo germano vendute o ipotecate;
D’un trattamento illustre non ci privò per questo.
Tal che a più ricche figlie grato sarebbe e onesto.
Solito a viver solo nella sua pace antica,
Per noi sfuggir non seppe le cure e la fatica.