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216 ATTO PRIMO
Servitore. Signor, di donna Rosa chiamata ho la servente,

Termina di vestirsi, e viene immantinente.
Riccardo. Si aspetterà; frattanto, cara nipote amata,
Meco restar potete a ber la cioccolata.
Livia. Farò come vi piace.
Servitore.   Un cavaliere ha brama
D’esser con lei, signore.
Riccardo.   E chi è?
Livia.   Come si chiama?
Servitore. Don Rinaldo.
Riccardo.   È padrone.
Livia.   Fermati. (s’alza agitata)
Riccardo.   (Livia freme). (da sè)
Con noi la cioccolata ber non volete insieme?
Livia. Lasciatemi partire, conosco il mio dovere.
Restar quivi non deggio, presente un cavaliere.
Riccardo. Meco restar vi lice. Di’ ch’egli venga. (al servitore)
Livia.   Aspetta.
Riccardo. Piacciavi un sol momento di trattenervi.
Livia.   Ho fretta.
Riccardo. Ecco, vien la germana.
Livia.   Signore, inconveniente
Farmi ch’ella pur trovisi col Cavalier presente.
Potreste in altra stanza riceverlo da voi.
Spicciate don Rinaldo, vi aspetterem qui noi.
Riccardo. Sì presto, donna Livia, la fretta vi è passata?
(Non sa quel che si voglia la donna innamorata.) (da sè)
Livia. Partirò, se vi aggrada. (sdegnata)
Riccardo.   No, no, frenate il caldo.
Fa che nel gabinetto mi aspetti don Rinaldo.
(al servitore che parte)
Colla germana intanto, se ciò vi cal, restate;
A far ch’ella si spieghi, voi stessa incominciate.
Ma d’una cosa sola voglio avvertirvi in pria:
Non fate che si stanchi la sofferenza mia.