Livia. Meco parlar non usa; mi asconde i suoi pensieri:
So che di sposo il nome udir suol volentieri.
E dallo zio, che l’ama più assai della maggiore,
Certa son, che saprassi di donna Rosa il cuore.
Riccardo. Giuro sull’onor mio, credetelo, figliuola,
Su ciò con donna Rosa non feci ancor parola.
Ella da me non seppe qual pensi ad ambedue,
Nè penetrar mi fece finor le brame sue.
Son cavalier, son giusto; son padre, e non comporto
Che alla maggior si faccia dalla minore un torto.
Voi per la prima io cerco; a voi dico eleggete.
Tempo vi do al consiglio; pensate, e risolvete.
Livia. Signor, vi chiedo in grazia, vi chiedo in cortesia,
Fate che sia lo stato scelto dall’altra in pria.
Riccardo. Questo non sarà mai.
Livia. Non sarà mai? lo vedo1,
La grazia a me si nega, sol perchè ve la chiedo.
Ma se di donna Rosa non si saprà la sorte,
Mutola sarò sempre anch’io fino alla morte.
Riccardo. Bene. Vo’ soddisfarvi. Elà.
Servitore. Signor.
Riccardo. Se è alzata
Donna Rosa, qui venga.
Servitore. Le farò l’imbasciata, (parte)
Riccardo. Tutto da me si faccia, quel che vi giova e piace:
Desio di contentarvi, desio la vostra pace.
Farò che la germana vi dia soddisfazione,
Ma puossi di tal brama sapersi la ragione?
Perchè dall’altra in prima voler lo stato eletto?
Livia. (Che a don Rinaldo aspiri la prosontuosa aspetto.) (da sè)
Riccardo. In tempo di valervi siete ancor di mia stima.
Livia. No, no, ch’ella si lasci eleggere la prima.
Riccardo. Una ragion, per dirla, di tal cession non vedo.
Livia. A lei per mio piacere la preferenza io cedo.
- ↑ Ed. Zatta: Io vedo ecc.