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214 ATTO PRIMO
Livia.   Ne ho cento delle ragioni in seno,

Che tolgonmi al riposo.
Riccardo.   Ditene alcuna almeno.
Svelatemi i motivi ch’esser vi fanno inquieta.
Livia. Signor... meglio è ch’io taccia; lasciatemi star cheta.
Riccardo. Rimedio al mal non reco, s’emmi la fonte oscura.
Livia. Soffra tacendo il male, chi rimediar non cura.
Riccardo. Ma se fanciulla incauta nutre l’occulto affanno,
Chi la governa e regge, vuol evitarne il danno.
Livia. Diffìcile è svelare a forza un mio segreto.
Riccardo. Forza non vel richiede, amor giusto e discreto.
Livia. Nè amor con sue lusinghe, nè forza con orgoglio,
Farmi parlar potranno, quando parlar non voglio.
Riccardo. Ostinata?
Livia.   Ostinata.
Riccardo.   Dunque, se tal voi siete.
Uditemi, nipote, pensate e risolvete.
Della paterna cura, ch’ebbi fìnor per voi,
Son stanco, e vuol ragione usar i dritti suoi.
Morte crudel vi tolse e padre e genitrice;
Nubili in casa meco tener più non mi lice.
Da voi, dalla germana dee eleggersi un partito:
O chiedasi un ritiro, o scelgasi un marito.
Livia. Tempo e consiglio esige l’elezion di stato. (siede)
Riccardo. (Il momento opportuno l’ho cerco, e l’ho trovato), (siede)
Quanto alla scelta vostra tempo accordar si deve?
Livia. Ci penserò, signore.
Riccardo.   Ma che il pensar sia breve.
Livia. Breve sarà: capace son, se mi vien talento,
(alzando un poco la voce)
Per togliervi d’affanno, risolver sul momento.
Solo saper vorrei, nè la domanda è strana,
Se scelto sia lo stato ancor da mia germana.
Riccardo. Seco vegliar solete, seco posarvi in letto,
Quello che altrui non disse, forse a voi l’avrà detto.