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LA DONNA STRAVAGANTE 211
Per favellar con Livia d’intorno a queste mura?

Avrebbelo introdotto? Ah, i miei sospetti accresco.
Cecchino. Non signor, lo ha lasciato tutta la notte al fresco.
Riccardo. Come fu? perchè venne? non mi tener celato...
Cecchino. Non parlerò, signore, se vi mostrate irato.
Riccardo. Calmo gli sdegni miei. Quel che tu sai, mi narra.
Cecchino. Sentite l’istoriella, che sembrami bizzarra;
E dite fra voi stesso, se dar puossi un’amante
Che sia più capricciosa, che sia più stravagante.
Sembra per don Rinaldo che amor la tenga in pena;
Quando da noi sen viene, guardalo in viso appena.
Se ragionar con altra lo vede, entra in sospetto;
Con altri in faccia sua fa i vezzi a suo dispetto.
Se vien, par che lo fugga; quando non vien, l’invita;
E son parecchi mesi che suol far questa vita.
Mandò l’altr’ieri a dirgli, che a lei fosse venuto
Sotto il balcon di notte; venirvi ei fu veduto.
Lo lasciò prender l’aria tutta la notte intera;
Dissegli poi sull’alba: Addio; domani a sera.
Chiuse la sua finestra, ed ei mortificato
Partì, ma la seguente notte è a lei ritornato.
Fece la scena istessa, godendo i suoi deliri,
Di lui prendendo a gioco le smanie ed i sospiri.
Ma stanco il Cavaliere, ed agghiacciato morto
Partissi, alto gridando: non merto un simil torto.
Ella aprì le finestre, lo vide a lei distante,
E dissegli: indiscreto, più non venirmi innante.
Tornò l’appassionato, e a lui la crudelaccia
Per ricompensa allora chiuse il balcone in faccia.
Irata furibonda a passeggiar si pose,
Pianse, sfogò lo sdegno, disse orribili cose;
In compagnia mi volle de’ suoi deliri ardenti,
Presemi la berretta, me la stracciò coi denti,
Mi diede uno sgrugnone, cadei sovra uno specchio;
Dissemi maladetto, e mi tirò un orecchio.