Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
IL RAGGIRATORE | 185 |
Conte. (Signora, non perdete di vista le gioje vostre). (a donna Claudia)
Claudia. (Come si potrebbon ricuperare?) (al Conte)
Conte. Coli l’accasamento di vostra figlia, avendo luogo il divisato contratto.
Claudia. Cavaliere, che risolvete? (a don Eraclio)
Eraclio. Non saprei... Son confuso.
Conte. Ricordatevi che le trentasette città che vi onorano, non vi daranno un tetto per ricoverarvi, nè un pane per satollarvi. (a don Eraclio)
Eraclio. Ah, la nobiltà è un gran bene! ma una buona tavola è la mia passione.
Claudia. Costei non merita che a lei si pensi; ma lo stato nostro è infelice.
Eraclio. Orsù, facciasi un’eroica risoluzione. (s’alza) Conte, il merito vostro è sì grande, che vi rende degno del sangue nostro. Soffri, Ercole, in pace la lieve macchia del grado illustre de’ tuoi figliuoli. Sì, Conte, si stipuli il gran contratto. Si salvi più che si può l’onore della famiglia; Metilde è vostra, e andiamo a solennizzare le nozze in un festoso convito. (parte)
Conte. Potrò chiamarmi ben fortunato...
Claudia. Non mi credeva mai, conte Nestore, che le attenzioni vostre usate alla madre, tendessero al possedimento della figliuola.
Conte. Donna Claudia, se la presente disgrazia vostra non mi obbligasse...
Claudia. Sì, c’intendiamo. Andate innanzi voi. (a donna Metilde)
Metilde. Signora, se deve essere mio sposo...
Claudia. Ei non lo è per anche.
Metilde. Ma lo sarà.. (parte)
Claudia. Se ciò ha da essere, non vi lasciate mai più vedere dagli occhi miei. (al Conte)
Conte. Mi credete indegno d’imparentarmi con voi?
Claudia. Finora vi ho creduto degno della mia stima; ora sarete degno dell’odio mio.
Conte. Signora, confidatemi l’arcano delle gioje vostre.