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IL RAGGIRATORE 169


Spasimo. Sta in cervello, non mi precipitare, che a chi mi levasse il pane, saprei levare la vita.

Arlecchino. (No son Arlecchin, se no ghe la fazzo pagar). (da sè)

SCENA IV.

Il Conte e detti.

Conte. Oh Arlecchino, di te appunto cercava. Ho bisogno di te.

Arlecchino. E mi gh’ho bisogno de vussioria.

Conte. Sentimi. (lo tira in disparte)

Arlecchino. Sior sì, che colù no senta i nostri secreti. (in modo che Spasimo lo senta)

Spasimo. Ma! ecco chi ha fortuna. I bricconi. (forte)

Conte. Con chi l’hai tu? (a Spasimo)

Arlecchino. (Ve dirò mi con chi el la gh’ha). (piano al Conte)

Spasimo. (Meschino di lui, se mi fa torcere un pelo). (da sè)

Conte. (Tu sai dei manichetti regalatimi da donna Metilde). (piano ad Arlecchino)

Arlecchino. (Per grazia vostra me l’ave dito).

Conte. (La madre sua li ha veduti).

Arlecchino. (E la li ha conossudi?)

Conte. (Sì certo, lo, per salvar la fanciulla, ho detto averli comprati).

Arlecchino. (La crederà che i ghe sia stadi rubadi).

Conte. (Bravissimo, e il sospetto suo cade sulla Jacopina).

Arlecchino. (Gh’ho gusto da galantomo).

Conte. (Ma io non vorrei che la povera disgraziata avesse a patire per cagione mia: tanto più, ch’ella mi ha fatto e mi può fare de’ buoni uffizi colla padrona sua).

Arlecchino. (Se poderave donca...)

Conte. (Ascoltami).

Arlecchino. (La diga pur). El magna l’aggio colù. (verso spasimo)

Spasimo. (Non crederei che gli parlasse di me ora). (da sè)

Conte. (Trova la Jacopina. Dalle questo foglio, in cui vi sono i manichetti che ho staccati ora della camiscia; dille che li rimetta in tempo, se può, nel luogo dov’erano, d’accordo colla ragazza).