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168 | ATTO TERZO |
SCENA III.
Arlecchino solo, poi Spasimo.
Arlecchino. Me sta sul cor el mio scudo. No gnanca per la perdita del scudo, che a vadagnarlo non ho fatto tanta fadiga; ma me despiase la burla che m’ha dà Giacomina. Se savesse come far a tornarlo a recuperar! Ma sarà difficile.
Spasimo. Buon giorno, amico.
Arlecchino. Te saludo, busiaro.
Spasimo. Perchè mi dici bugiardo?
Arlecchino. Perchè m’astu dito amigo?
Spasimo. Vi sono nemico forse?
Arlecchino. Vualtri servitori sè sempre nemici de quella zente che gh’ha la confidenza dei vostri padroni.
Spasimo. Io sono un servitore onorato.
Arlecchino. Ti fa ben a dirlo; perchè, se no tel disi ti, no gh’è pericolo che nissun lo diga.
Spasimo. Non diranno di me che sono un furbo, come di te si dice.
Arlecchino. Ti gh’ha rason; non ho mai sentio che se diga furbo a un mamalucco co fa ti.
Spasimo. Se non fossimo dove siamo, ti vorrei insegnare a parlare.
Arlecchino. Inségneme a robar, che la xe la to profession.
Spasimo. Senti, Arlecchino, giuro, e possa esser impiccato se non mantengo il giuramento, giuro di farti il viso brutto, ancora più brutto di quel che l’hai.
Arlecchino. Ti, ti me voressi maccar el viso! E mi gh’ho più carità, me contento de romperte i brazzi con un tocco de legno.
Spasimo. Provati.
Arlecchino. Adesso no gh’ho comodo de provar.
Spasimo. Averò comodo io di darti una manata per ora. (fa l’atto di dargli)
Arlecchino. Corpo del diavolo, se ti me darà una manata, mi te darò una gambata.
Spasimo. Hai ragione che sento venire il padrone.
Arlecchino. El vien a tempo; te farò véder chi son.