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162 | ATTO SECONDO |
Claudia. Non ancora.
Eraclio. Sentirete. (al Conte)
Conte. Qualche novità della causa?
Eraclio. Sì, altro che causa! Io discendo dal sangue d’Ercole... Ma andate a riscuotere i mille zecchini; parleremo con comodo.
Conte. Sì, a desinare. Con permissione. (Vo anticipare, per avvisare donna Metilde. Povera figliuola, non vorrei vederla in angustie per mia cagione). (da sè, e parte)
SCENA XI.
Donna Claudia, don Eraclio, poi Carlotta.
Eraclio. Non avete avuto tempo di dirglielo?
Claudia. Non ho trovato la via d’introdurmi. Ma a casa spero d’avermi aperto l’adito per poterlo fare.
Eraclio. Fatelo presto. Ma avvertite, salvo sempre il decoro.
Claudia. Questo mi sta a cuore quanto a voi, e forse più ancora.
Eraclio. Non degeneriamo dal nostro sangue. Avete veduto ancora la sorella del Conte?
Claudia. L’ho veduta, e mi ha sorpreso trovarla così male istrutta nella vita civile.... Eccola, osservatela, se pare mai una dama.
Carlotta. Non è più qui mio fratello?
Claudia. Non signora; è partito per un affare.
Eraclio. Ho il piacere anch’io di riverire e conoscere la signora Contessa, sorella del conte Nestore mio buon amico.
Carlotta. Serva sua. (Ora sono imbrogliata, che non c’è mio fratello). (da sè)
Claudia. Questi è mio marito. (o Carlotta)
Carlotta. Sì? come si chiama?
Eraclio. Sì! mi chiamo don Eraclio degli Eraclidi, signore delle trentasette città.
Carlotta. Me ne consolo.
Eraclio. Oggi verrete a desinare con noi.
Carlotta. Non so niente io.
Claudia. Il Conte vostro fratello ha detto che seco lui ci favorirete.