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IL RAGGIRATORE 153


Conte. Ci troverete gusto col tempo.

Carlotta. Può essere, ma non lo credo.

Conte. Animo, coraggio. Su quella vita. Dritta, disinvolta, gaiosa. Quella testa snodata un poco più, ma con buona grazia. Che gli occhi girino. Ricordatevi quel che vi ho detto. Un poco di gravità, mista a tempo colla galanteria. Colle dame qualche riverenza gentile, qualche complimento conciso, per non imbrogliarvi. Coi cavalieri qualche sorriso vezzoso, qualche guardatina furbetta. Cogli inferiori serietà, gravità, disprezzo. Tutti vi crederanno sorella del conte Nestore; e voi medesima non passano due mesi che vi scordate la campagna, l’aratro, i bovi, e direte, e sosterrete, e giurerete di esser nata una dama.

Carlotta. Non saprei. Tutte le cose a principio paiono difficili. Mi proverò per riuscire.

Conte. Soprattutto non vi lasciate mai escir di bocca parole basse.

Carlotta. Sempre parole alte ho da dire?

Conte. Oh alte! non facciamo delle ariecchinate. M’intendo parole proprie, non vili.

Carlotta. Io dirò quello che mi verrà alla bocca di dire.

Conte. Basta, vi starò da vicino.

Spasimo. Signore, manda a vedere la signora donna Claudia, se c’è la signora contessa Carlotta.

Carlotta. Che non ci sono io? non mi vedi?

Conte. Piano, signora Contessa, potrebbe darsi che non ci voleste essere.

Carlotta. Per dir la verità, non ci vorrei essere.

Conte. Senti? Ella non ci vuol essere. (a Spasimo)

Carlotta. Ma però ci sono.

Spasimo. Ho da dir che ci è, dunque?

Carlotta. Che bestia! se ci sono.

Conte. Via, la signora Contessa ci vuol essere. (a Spasimo)

Spasimo. Le dirò che è padrona, dunque.

Carlotta. Sono padrona certo. Son sorella di mio fratello.

Conte. Dice, che dirà a donna Claudia, che è padrona.

Carlotta. Padrona di che?