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IL RAGGIRATORE 141


Jacopina. La mia parola non vale?

Arlecchino. Via, voggio crederve per el vostro scudo, ma no vorave rischiar el mio malamente.

Jacopina. Come sarebbe a dire?

Arlecchino. No ve fide de mi?

Jacopina. Non signore.

Arlecchino. Femo cussì. Tegnimolo in deposito tutti do. Mezzo per omo.

Jacopina. Bene, date qui.

Arlecchino. Eccolo. Tegnimolo in do. Va sto scudo, che no se fa la pase. (tengono lo scudo in due)

Jacopina. Va lo scudo, che si fa la pace.

Arlecchino. Vu sè una femena ingrata.

Jacopina. Non parliamo più del passato.

Arlecchino. M’ave strapazzà, m’ave dito aseno.

Jacopina. L’ho detto per ischerzo. Siete un uomo di garbo.

Arlecchino. Sto muso xelo un grugno de porco?

Jacopina. No; anzi avete un visino bello, bellissimo.

Arlecchino. Se no me podè veder.

Jacopina. Se siete anzi il mio caro.

Arlecchino. El vostro caro?

Jacopina. È fatta la pace?

Arlecchino. Oibò. Voggio vendicarme delle insolenze che ho ricevesto.

Jacopina. In questa maniera la pace non si farà mai.

Arlecchino. E el scudo el resterà per mi,

Jacopina. (Lo vorrei per me, se potessi). (da sè)

Arlecchino. (Se l’ho da spender, no lo vôi buttar via). (da sè)

Jacopina. Via, caro Arlecchino, amor mio, vita mia.

Arlecchino. Ste parolette dolce no le basta, patrona, per obbligarme1; ghe vol qualcossa de meio.

Jacopina. Poverino! povero Arlecchino! (accarezzandolo modestamente)

Arlecchino. Me principia a passar la collera.

  1. Così l’ed. Pitteri. Le altre edizioni hanno il punto e virgola dopo patrona.