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IL RAGGIRATORE 131


Conte. Che vi è qui dentro, signora?

Metilde. Lo vedrete poi. Compatite.

Conte. Permettetemi che possa almeno vedere...

Metilde. No, vi dico, non voglio. L’aprirete quando sarete da voi.

Conte. Non so che dire. Voi sempre mi caricate di grazie.

Metilde. Sono piccioli segni dell’affetto mio.

Conte. Veggo a mia confusione con quanta bontà mi trattate.

Metilde. Se potessi, farei di più.

Conte. Arlecchino è ritornato qui questa mane?

Metilde. Lo vidi, che appena mi era alzata dal letto; non gli ho potuto dire quel ch’io voleva. Mia madre è una tiranna con me.

Conte. Dopo non è tornato?

Metilde. No certo.

Conte. Potrebbe essere ritornato, che voi non lo sapeste. Vi è dubbio che possa averlo veduto donna Claudia senza di voi?

Metilde. Non può essere, perchè ella è stata sinora alla tavoletta. Tre ore ci sta ogni mattina allo specchio, e se io sto mezz’ora, mi sgrida.

Conte. Spiacemi che non abbiate veduto colui.

Metilde. Perchè? aveva qualche cosa da dirmi?

Conte. Aveva una cosuccia da darvi.

Metilde. Che mai?

Conte. Una picciola tabacchiera d’avorio, con una miniatura eccellente. Quando verrà, vi supplico d’aggradirla.

Metilde. Tutto è prezioso quel che viene dalle mani del signor Conte.

Conte. Posso vedere quel che rinchiude la carta?

Metilde. Per ora no, vi dico. Mi basta che l’aggradite, e che, per segno d’aggradimento, vi degnate di farne uso.

Conte. Qualunque sia la finezza che voi mi fate, non lo trascurerà1 il mio rispetto.

  1. Così l’ed. Pitteri. Le edd. Guibert-Orgeas, Zatta ecc.: non le trascurerò ecc.