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IL RAGGIRATORE 129


Conte. Vi ringrazio. Se fossi al mio feudo, li comprerei; ma qui non ho casa mia, e poi ora ho da spendere in altro. È capitata stamane la Contessa mia sorella.

Eraclio. Davvero? me ne consolo. Verrò a fare i miei complimenti colla dama.

Conte. Mi farete onore; ma spicciatevi da quest’uomo, e non vi lasciate scappare una sì bella occasione.

Eraclio. Portateli nel mio gabinetto, e aspettatemi, che ora vengo. (a Cappalunga)

Cappalunga. Sì signore. (Mi sono portato bene?) (al Conte)

Conte. (Bravissimo. Aspettatemi dallo speziale).

Cappalunga. (Sì signore). (parte)

SCENA X.

Don Eraclio, il Conte, il Dottore.

Conte. Come va la causa, signor Dottore?

Dottore. Peggio che mai, signore.

Eraclio. Eccolo qui; è ostinato a credere che voglia terminar male. E io giudico, e sostengo, e provo, che la causa non si può perdere.

Conte. Così diceva ancor io; mi pare che don Eraclio non la possa perdere.

Dottore. Ma la ragione su cui si fonda, è ridicola.

Conte. Su qual principio fondate voi, don Eraclio, la ragione vostra?

Eraclio. Sovra un principio certo, infallibile.

Dottore. Perchè un cavaliere non ha da restare senza il palazzo...

Eraclio. Tacete. Non è questo solo il motivo.

Conte. No, non è questo il solo motivo. Conviene esaminare la natura del debito.

Eraclio. Questo conviene esaminare.

Conte. E se l’ipoteca è generale, o speciale.

Eraclio. E se è generale, non si può dire speciale.

Conte. E se al contratto mancano le debite solennità, non tiene.