Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/132

126 ATTO PRIMO


Eraclio. Non si dice, che bada all’economia; queste sono ispezioni di gente bassa. Donna Claudia mia moglie bada allo splendor della casa, non all’economia.

Dottore. E vossignoria illustrissima non s’intrica nelle cose domestiche.

Eraclio. I pari miei non hanno l’uso, non hanno il tempo. Altre cose maggiori occupano il mio talento.

Dottore. Per esempio le liti.

Eraclio. Sì, anche le liti; ma non questa che abbiamo presentemente. Questa è una lite che non si può perdere.

SCENA VIII.

Cappalunga e detti.

Cappalunga. Con permissione di vossignoria illustrissima.

Eraclio. Che? non c’è nessuno de’ miei servitori?

Cappalunga. Perdoni; non ho trovato nessuno. Mi sono preso l’ardire.

Eraclio. Quelle due corniole che l’altro giorno mi avete venduto, non le stimano niente. Dicono che ho gettato via il mio denaro.

Cappalunga. Non se n’intendono questi signori. Se vossignoria illustrissima non le avesse conosciute per antiche e buone, non le avrebbe comprate. Io non ne ho cognizione, ma ella che sa, le ha conosciute subito; non vi è nessuno in questa città, che abbia l’intelligenza delle cose antiche, come ha il signor don Eraclio. (al Dottore)

Dottore. Sì, certo. Egli è intelligente di tutto, specialmente poi delle liti.

Eraclio. Sì, delle liti, delle antichità, delle cose rare, me ne intendo più di nessuno. E son sicuro che le corniole sono bellissime; e se le mando a Roma, me le pagano a peso d’oro.

Dottore. Se sono corniole antiche, vagliono altro che a peso d’oro.

Eraclio. Tacete col vostro Salviano.

Cappalunga. Signor don Eraclio, ho una bella cosa da fargli vedere.

Eraclio. Che cosa avete da farmi vedere?

Cappalunga. Due quadri di Raffaello.