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118 | ATTO PRIMO |
Conte. Eccoti uno scudo.
Arlecchino. Sto scudo mo veramente lo tegnirave volentiera per mi.
Conte. Fa come vuoi.
Arlecchino. E per la cameriera?
Conte. Sei un birbante, Arlecchmo carissimo.
Arlecchino. Sarà come che la dise ela.
Conte. Ma per ora non ci è di più.
Arlecchino. Son galantomo: me contento de quel che se pol aver. Vago a far el mio debito. La scatola alla madre, el stucchio alla fiola...
Conte. No, l’astucchio alla madre...
Arlecchino. Mi dirave el stucchio alla fiola.
Conte. Perchè?
Arlecchino. Perchè l’è una galantaria più da putta, che da maridada.
Conte. Fa quello che ti ho ordinato di fare, e reicordati di regalare la cameriera.
Arlecchino. E se la me dà dell’aseno?
Conte. Non importa.
Arlecchino. Sì, l’è la verità: se la me dise aseno, è segno che la me vol ben, che la desidera che gh’abbia del ben, perchè i aseni al dì d’ancuo i xe quelli che gh’ha fortuna, (parte)
SCENA IV.
Il Conte, poi Spasimo.
Conte. Bellissima è la storiella di queste due graziose femmine, madre e figlia, che mi amano. La figlia aspira all’onore delle mie nozze. La madre all’onore della mia servitù. Coltivo l’una e l’altra per il mio fine, e intanto, se dono sei, son sicuro di pigliar venti. Per la stessa ragione soffro le insulsaggini di don Eraclio e di qualche altro suo pari. A spese loro mantengomi in questa nobiltà ideale. La mia contea è fondata sull’aria, e le mie rendite le ho stabilite sul raggiro della testa. Se mi