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IL RAGGIRATORE 117


Conte. Bella premura che hai di me, che ti mantengo, si può dire, di tutto il tuo bisognevole!

Arlecchino. Ma vu no me podè far quel ben che me pol far Giacomina.

Conte. Va dunque, e più non mi venire d’intorno.

Arlecchino. Ma la Giacomina la pol far del ben anca a vussioria.

Conte. Come?

Arlecchino. Oh bella! parlando alle so patrone per vu.

Conte. Non dici male. Conviene coltivarla la cameriera. Procura ch’ella parli per me.

Arlecchino. Ma la verità vorave saver. Alla madre, o alla fiola?

Conte. A tutte due, per ora.

Arlecchino. Dise el proverbio: chi voi ben alla fiola, fa carezze alla mamma. No la xe miga boccon cattivo donna Metilde.

Conte. Sì, è una ragazza di garbo.

Arlecchino. Ho inteso, sior Conte el vorave matrimoniar.

Conte. Prendi quest’astucchio. Portalo in nome mio.

Arlecchino. A donna Matilde?

Conte. No, a donna Claudia.

Arlecchino. No capisso gnente.

Conte. Non è necessario che tu capisca.

Arlecchino. Ma mi bisognerave che savesse tutto, per no fallar.

Conte. Fa quel che ti dico.

Arlecchino. Vorave sta volta che fessi a mio modo.

Conte. Che cosa vorresti tu ch’io facessi?

Arlecchino. Qualcossetta anca per la ragazza.

Conte. Bene. Recale questa piccola tabacchiera. Ma bada bene, che la madre non sappia della figliuola, e la figliuola non ha da saper della madre.

Arlecchino. Sior sì, lasse far a mi... Ma un’altra cossa ghe vol.

Conte. Che cosa?

Arlecchino. Un regaletto alla cameriera.

Conte. Che vuoi che le dia? Non ho niente in pronto.

Arlecchino. Senza sto complimento, se scorre pericolo de no far gnente che staga ben.