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116 ATTO PRIMO


Conte. Questa non è cosa che a te debba premere.

Arlecchino. Ma la xe una cossa che la me confonde. Ora me mandè a parlar alla mader, ora me mandè a parlar alla fiola. Ora quella me dis: dirai al Conte, che si scordi di me. Ora me dis quell’altra: ricorda al Conte, che non mi privi della grazia sua. Stamattina, tra de ele do, ho credeste che le se volesse cavar i occhi. Tutte do in t’una volta le me voleva dir, che mi ve disesse; e le m’ha tanto dito, che no me recordo più gnente affatto quel che le m’abbia dito.

Conte. Sei sempre stato balordo, e lo sarai finchè vivi.

Arlecchino. Aspettè che ghe pensa un poco meio, che pol esser che me recorda qualcossa.

Conte. Converrà che io mi serva di qualcun altro.

Arlecchino. Zitto, zitto...

Conte. Ti ricordi di qualche cosa?

Arlecchino. Sior sì, m’arecordo che Giacomina m’ha dito che son un aseno.

Conte. Ha detto bene, che non poteva dir meglio.

Arlecchino. Obbligatissimo alle so grazie.

Conte. E donna Claudia?

Arlecchino. L’ha dito cussì de vussioria...

Conte. Come! ha sparlato di me?

Arlecchino. Ma lassème finir de dir. Ha dito cussì donna Claudia... Ma in te l’istesso tempo xe saltada suso donna Metilde.

Conte. E che ti ha detto donna Metilde?

Arlecchino. Adesso me vien in mente. La m’ha dito, che a vussioria disesse da parte soa...

Conte. Che cosa?

Arlecchino. La madre la gh’ha rotto el filo, e no l’ha podesto fenir.

Conte. Che cosa ha detto la madre?

Arlecchino. La dise: quando viene da noi il signore... Ma in quel punto xe arriva quella diavola de Giacomina, e mi, confesso la verità, me son voltà da quella banda, e delle do patrone no me son recordà più gnente affatto.