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56 ATTO TERZO
Ma una cintura ho piena di doppie e di zecchini.

Portai quel che ho potuto, ma si è investito il più
In vini ed uve passe, passando da Corfù.
Ora, signor mio caro, siamo da voi venuti,
Chiedendo protezione pria d’esser conosciuti.
Tornando al suo paese un uom che ha rinnegato,
Puol esser giustamente fermato e gastigato.
Sposar noi ci vorremmo, e non sappiamo il come.
Sentito ho a decantare per tutto il vostro nome.
Si vede che mostrate la gentilezza in faccia.
Eccomi a’ piedi vostri; son nelle vostre braccia.
Cavaliere. Alzatevi. Oh che caso! oh che contento è il mio!
Lisaura. Signore, a’ vostri piedi ecco mi getto anch’io.
Cavaliere. Alzatevi, signora. D’avervi meco io godo;
Di far quel che va fatto, noi penseremo il modo.
Frattanto trattenetevi in questo appartamento;
Avrete in casa mia l’alloggio e il trattamento;
E se mai vi pesasse quella cintura indosso,
Le doppie ed i zecchini nascondere vi posso.
Gianfranco. Sì signor, questa sera ve li consegnerò,
Lisaura. (Come si sia sognate tante bugie non so). (da sè)
Cavaliere. Ho forestieri in casa che abbandonar non devo.
Consolazion più grande sperar io non potevo.
Il nome vostro? (a Gianfranco)
Gianfranco.   Il mio nome nativo fu
Gianfranco, e mi chiamavano in Tunisi Caicù.
Cavaliere. E voi? (a Lisaura)
Lisaura.   E il nome mio fu Lisaura in Toscana,
Nel serraglio di Tunisi chiamata Caicana.
Cavaliere. Signora Caicana, amico Caicù,
Ora con nomi tali non vi chiamate più.
Tornerete Lisaura; Gianfranco tornerete;
In me di vostre nozze il paraninfo avrete.
E sarà gloria mia far noto a tutto il mondo
Che vostro protettore è il Cavalier Giocondo. (parte)