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e assistiamo agli strapazzi che riceve dalla moglie sior Gasparo pampalugo, alla presenza del compare (I, 3-7).
L’episodio d’amore di Checca e Tonino è come il centro dell’azione (Falchi: «Accanto all’onesta attività della buona moglie si svolge l’innocente idillio di Checca e di Tonino. Quanta poesia, semplice e pura, e nell’amore che unisce i due giovani!» l. c.): così l’amore di Checchina e Beppo nei Pettegolezzi e, più tardi, di Lucietta e Titta-Nane nelle Baruffe chiozzotte. Ma per l’arte di queste commedie ciò poco importa. Tonino è l’innamorato timido, in balia di quei diavoli di donne, che solo la vista della sua bella rende un po’ ardito. Più risoluta Checchina, la fanciulla docile in apparenza: «Ma se no gh’ho Tonin, certo no me marido» (I, 8). Di lei, tipo leggiadro di veneziana, «grande, bella, ben fatta, bianca co e un sensamin» (IV, 4), s’innamora perfino Isidoro Caicchia, uno di quei Levantini che s’incontravano allora sulla Riva degli Schiavoni, in Piazza, a Rialto (parla un po’ come Abagiggi nei Pettegolezzi: lo ricorda Is. Del Lungo, in Florentia, 1907, p. 356), uomo severo, terribile a momenti al pari d’un capitan Spavento, odiatore delle donne peggio del cavaliere di Ripafratta; e anch’egli cede, più ancora che vinto dagli occhietti di Checchina, ai racconti stupefacenti di sior'Anzola. Poichè le donne qui sono le più forti, come spesso nel teatro goldoniano (non so perchè, vengono a mente i Rusteghi): ed è sior’Anzola, la moglie coi calzoni, ma quanto diversa da tutte le altre, che non cura e che disprezza quel piccolo mondo virile, troppo a lei minore, perchè privo di volontà, o ingenuo. Goldoni tuttavia fa bene a non darle piena vittoria, e i due amanti si sposano senza di lei.
Ecco dunque un frammento di vita umana rivissuto dalla fantasia, e reso con mirabile evidenza, per quella perfetta fusione dell’autore coi suoi personaggi, ch’è privilegio di ogni grandissimo artista. «L’arte drammatica non può fare di più ", direbbe Attilio Momigliano che scrutò con più seria critica, libero da qualsiasi preconcetto scolastico, il «mondo poetico del Goldoni» (L’Italia moderna, V. fasc. 5, 15 marzo 1907). Il Momigliano diede lode alle Massere di commedia «bella, se non perfetta», ma non ricorda le Donne de casa soa; tuttavia a chi accusasse l’umiltà dei personaggi goldoniani, possiamo ripetere le sue parole: «Bisognerebbe che quelli che giudicano il Goldoni superficiale... pensassero che artista grande è chi dà vita ad un oggetto, qualunque esso sia... Il G. ha colto l’anima di cose che sembrerebbero non averla, e, quel che è più, ha saputo, dando loro la vita, non guastarle» (l. c. 473 e 474). Vero è che anche il Momigliano in altra parte afferma: «Quella del G. è arte buona tessuta attorno ad argomenti superficiali» (p. 473), facendo eco in certo modo al De Sanctis (Storia della letteratura italiana), il quale io sono tratto a pensare che forse non potè conoscere appieno i capolavori dell’autore veneziano; ma quando vita e arte s’incontrano in una creazione, cioè quando un argomento concedesi alla elaborazione di un artista, nulla vi è più di superficiale. Davanti all’arte e all’umanità hanno importanza così Orlando e Amleto, come sior’Anzola e il sarto del villaggio; chi vuole il mondo eroico, chi il mondo in apparenza più umile della commedia. E Goldoni è scrittore comico, secondo le idee del tempo, nient’altro che scrittore comico, ma di quel suo mondo comico, si originale e si diverso da Aristofane o da Molière, è il signore sovrano.