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pubbliche. Si ha tuttavia il ricordo d’una recita a Reggio nel 1779 (Modena a C. G., 1907, p. 348), d’una a Milano nel 1815 (G. Martinazzi, Accademia dei Filodrammatici ecc., Milano, 1879); e trovasi nel 1826 nel repertorio della R. Compagnia Sarda a Torino (G. Costelli, La R. Camp. Sarda e il teatro it.. Milano, 1893, p. 60). — Invano il Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G., Milano, 1827, p. 156) la nominò fra le commedie morali; invano il dottor Montucci l’accolse nella sua Scelta per uso della gioventù oltramontana (Lipsia, 1828, t. IV); invano C. Borghi la collocò accanto ad altre più note come esempio «delle virtù domestiche» (Memorie sulla vita di C. e Modena, 1859, cap. 8); invano Alberto Nota vi trasse nel 1818 l’ispirazione della Pace domestica, recitata a Torino dalla Compagnia Reale nel 1822. Più di un difetto notò il critico del Giornale Teatrale (Venezia, 1 genn. 1821 ) nel confronto delle due commedie, e diede la palma allo scrittore vivente (v. anche Teatro Comico di A. Nota. Tonno, 1842, t. V, 65-8). Raffaello Nocchi scriveva senz’altro che alcuni modelli offerti dal Goldoni «di una bontà che ha dello sdolcinato, come nella commedia La buona fam., fanno vedere come la virtù, confinata affatto fuori della vita pubblica, immiseriva e prendeva del femminile e del barbogio nella vita domestica» (pref. alle Commedie scelte di C. G., Firenze, 1854, p. XXVI). Povera Venezia! Ed Ernesto Masi la chiamava «uno sfonda-stomaco di morale, che meglio d’una commedia potea parere una predica» (Scelta di commedie di C. G., Firenze, 1907. vol. I, 92, n. 1). - Ma quel che è più grave, di recente il Maddalena vi rinvenne «certe sudicerie, che non si sa come potessero capire in un quadro si edificante»; e dopo aver riferito il dialoghetto dei servi sugli scandali di Angiola e Raimondo (a. I, sc. 16), non esito a dichiarare: «Ma questa, si vede, è scuola d’ipocrisia, non di morale» (G. e Nota, estr. dalla Rivista politica e lett., Roma, 1901, pp. 4 e 6).
Alle quali accuse il Goldoni potrebbe forse rispondere che agli occhi di madama morale nessuna opera d’arte si salva: che non era propriamente nelle intenzioni sue di scrivere una commedia per i giovinetti, anzi volle cavare la moralità della favola dalla contrapposizione della virtù e del vizio, e insegnò come facilmente il male possa insinuarsi sotto l’apparenza del bene. Così a bella posta dalla perfezione della buona famiglia escluse i servi curiosi e pettegoli (Lisetta in fatti è minacciata dalla padrona di una bella licenza: III, sc. I). Quanto alla «pretesa semplicità» di certe espressioni, badino i critici a non incorrere anch’essi nel peccatuccio della malizia. — Checchè sia di ciò, ha pienamente ragione il Maddalena, quando trova anche nella Pace domestica della scempiaggine assai, e mai un’orma, aggiungo io, di quello zampino che il Goldoni lascia pur scorgere, o qua o là, fin nelle più dimenticate e disgraziate composizioni.
La commedia fu dedicata a Camilla Barbarigo (figlia di Gio. Barbarigo della contrada di S. Vio, e di Catterina Bembo), sposa nel 1738 di Gio. Ant. Baglioni (n. 3 dic. 1705, m. 30 marzo 1754). La famiglia Baglioni, che veniva dal Milanese, esercitò con onore l’arte della stampa a Venezia fin dal principio del sec. XVII e fu assunta al patriziato l’anno 1717. Nel ’50 i Baglioni comprarono il palazzo a S. Cassano, dove prima della pace d’Aquisgrana dimorava l’esule famiglia del Duca d’Este (Tassini, Curiosità veneziane, p. 497). Ca-