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LA BUONA FAMIGLIA | 415 |
discorrere sulle gioje affidatele da mia consorte. Confesso aver fatto un po’ di esperienza, così per semplice curiosità, sul carattere del di lei cuore; e l’ho trovata onesta a tal segno, che a una parola sola equivoca e sospettosa partì sollecita, e si scordò fino la civiltà per la delicatezza d’onore.
Fabrizio. Queste curiosità non si cavano nelle case de’ galantuommi... (a Raimondo)
Anselmo. Basta così. Siete voi persuaso della probità illibatissima di vostra moglie? (a Fabrizio)
Fabrizio. Ah sì, signore, mi pento de’ miei temerari sospetti.
Anselmo. E voi siete contenta del marito vostro? (a Costanza)
Costanza. Così egli perdoni le debolezze mie, com’io son certa dell’amor suo.
Anselmo. Lode al cielo. Amici, ecco il tempo di ricuperare le gioje. (fa mostra di volerle dare)
Angiola. | (Allungano le mani per pigliarle.) | |
Raimondo. |
Anselmo. Piano ancora, che terminate non sono le convenienze. Quello che detto ci avete, è il prezzo della ricupera. Ci vuol l’interesse ancora: e l’interesse sia una promissione fortissima di favorirci per grazia di non venire nè l’uno, nè l’altro, mai più da noi.
Angiola. Sì signore, vi servirò.
Raimondo. Giustamente; ve lo prometto.
Anselmo. Capisco che le indigenze vostre v’inducono a sperare d’averle senza il contante; e qualche merito si è acquistata la confessione vostra e la vostra rassegnazione. Fabrizio, lasciatemi spender bene dugento scudi. Costanza, cento scudi li avanzate da me. Amici, eccovi le gioje vostre. (dà i pendenti e l’anello ad Angiola, e le altre gioje a Raimondo, quali se le prendono avidamente) Se qualche piacere vi reca un atto prodotto dall’amor mio verso la mia famiglia, il quale torna in profitto vostro, vi chiedo ora una grazia. (ad Angiola e Raimondo)
Raimondo. Comandate, signore.
Angiola. Che non farei per un uomo della vostra bontà?