Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/406

400 ATTO SECONDO


Raimondo. Siccome la moglie mia si è fatto lecito d’impegnarle, posso ancora temer di peggio. Desidero per quiete mia di vederle.

Costanza. Vi servo subito. (parte)

Raimondo. (Va a prenderle; dunque ci sono. Dubitavo di qualche inganno, benchè sappia che sono gente dabbene, e specialmente la signora Costanza è di buonissimo cuore. Chi sa che con un poco di buona maniera non mi riuscisse riaverle senza il danaro ancora!)

Costanza. Ecco qui, signore, i pendenti e l’anello. Li riconoscete voi? Sono dessi? (da sè)

Raimondo. Verissimo, sono dessi. Ecco la bell’azione di mia consorte. Se voi andaste ad impegnare la roba di casa vostra senza parteciparlo al marito, che direbbe egli di voi?

Costanza. So che volete dirmi. Mi condannate per averle fatto piacere; pazienza, questo è il merito ch’io ne ho; ma sappiate che non mi sarei indotta a farlo, se ella non mi avesse svelate le piaghe di casa sua.

Raimondo. Da chi derivano queste piaghe?

Costanza. Non lo so, signore, e non mi curo saperlo.

Raimondo. Ella lo fa per i capricci suoi; nè io ho bisogno per il mantenimento di casa mia, che s’impegnino le gioje mie.

Costanza. Via, signor Raimondo, sono cose queste da accomodarsi fra di voi due, senza far scene fuori di casa. L’affar delle gioje è diviso con giusta distribuzione: cento alla moglie, dugento al marito; e poi non occorre diciate altro. Chi mi porterà i cento scudi, avrà i pendenti e l’anello. Un’altra cosa mi preme un poco più di sapere: che altri interessi può avere la signor’Angiola con mio marito? Non ardisco già pensar male: sarei una donna indegna, se volessi adombrare col pensiero soltanto il di lei onore; ma non vorrei ch’ella si prendesse qualche altro arbitrio; che mio marito, che è di buon cuore, le prestasse degli altri denari, e voi aveste da lamentarvene, e forse forse concepiste voi quel sospetto di vostra moglie, ch’io non ardisco formare di mio marito.