Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/404

398 ATTO SECONDO

in istato di darmi qualche consolazione, pare che voglia affliggermi la condotta di mio marito. Ma giusto cielo! potrà egli cambiar il cuore? Un uomo di tanta bontà è possibile che si lasci sedurre, che si stanchi di volermi bene?

Lisetta. È domandata, signora.

Costanza. Da chi mai?

Lisetta. Dal signor Raimondo.

Costanza. Dal marito della signor’Angiola?

Lisetta. Per l’appunto.

Costanza. Domanda egli di mio consorte?

Lisetta. Non signora, domanda di lei.

Costanza. Che cosa vuole da me?

Lisetta. Questo non me l’ha detto, e non me lo vorrà dire.

Costanza. Ditegli che compatisca, che non c’è ne mio suocero, nè mio marito... e ch’io sono impedita ora.

Lisetta. Vedete? Così si fa, e non come quello...

Costanza. Come chi volete voi dire?

Lisetta. E non come quello che riceve le donne, senza che lo sappia la moglie.

Costanza. Frasca.

Lisetta. Non parlo di qua io; parlo de’ mariti del paese mio. (parte, poi ritorna)

Costanza. Eppure non sarebbe fuor di proposito ch’io lo ricevessi, per sentir, così di lontano, se qualche cosa mi riuscisse di ricavare... Ma no, è meglio superarla questa curiosità; alle volte, cercando di voler sapere, si sanno di quelle cose che non si vorrebbono aver sapute. Io so per altro anche troppo, e potrei forse dalle parole del signor Raimondo raccogliere qualche cosa che mi recasse consolazione; e io medesima potrei contenermi seco in modo, che senza offendere la riputazione sua, valesse a farlo vegliare un poco più attento sulla condotta di sua consorte. Ma non vorrei far peggio, e che mio marito trovasse un nuovo motivo per mortificarmi.

Lisetta. Signora, non posso dispensarmi dal dirle, che il signor Raimondo si offende moltissimo ch’ella non lo voglia ricevere;