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388 | ATTO SECONDO |
SCENA XII.
Nardo e detti.
Nardo. Ho da dirle una cosa.
Fabrizio. Posso ascoltarlo senza offendere la civiltà? (ad Angiola, con ironia)
Angiola. Accomodatevi, signore. Non facciamo caricature.
Fabrizio. In casa mia non si usano. (Bene, cosa c’è?) (accostandosi a Nardo)
Angiola. (Non c’è verso da sperar niente, per quel ch’io vedo). (da sè)
Nardo. (È venuto per parlare a vossignoria il signor Raimondo. C’è qui sua moglie; non sapeva di far bene, o di far male; gli ho detto che sono tornato ora a casa, e che non so se il padrone ci sia).
Fabrizio. Benissimo... (guarda in viso Angiola, un poco turbato)
Angiola. Via, signore, non mi guardate losco, che senza più me ne vado.
Fabrizio. Se ora volete andarvene, sarà meglio. Non anderete sola.
Angiola. È tornato il mio servitore?
Fabrizio. C’è il marito vostro, signora...
Angiola. Mio marito? Sa egli che ci sono?
Fabrizio. Non credo.
Nardo. Non lo sa, signora.
Angiola. Non ha veduto il servitore dunque?
Nardo. Non l’ha veduto, perchè il camerata, veggendolo venire, si è rimpiattato. Titta è un buon servitore; lo conosco che è un pezzo. Per questa sorta di cose, non v’è un par suo.
Angiola. Che vorreste voi dire perciò... (a Nardo) Signore, mio marito è un uomo bestiale; dirà ch’io sono qui ritornata a dispetto suo. Noi ci faremo scorgere. (a Fabrizio)
Fabrizio. E come posso io regolarmi? Ho da ricusar di riceverlo? Voi che siete una signora tanto civile, questa inciviltà non l’approverete.
Angiola. Prudenza insegna che sfuggasi il maggior male.