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384 | ATTO SECONDO |
diventerò un po’ meglio di quel che sono. Parmi ch’ella m’abbia chiamato. Vengo, vengo, signora; se posso, qualche cosa voglio da lei ricavare. (parte)
SCENA X.
Angiola e Nardo.
Nardo. Io non lo so, signora, se il padrone ci sia in casa.
Angiola. Guardate se c’è; e ditegli, posto che ci sia, che mi preme dirgli una parola da lui a me.
Nardo. Vo a vedere, e la servo subito.
Angiola. Fatemi il piacere. Alla padrona non dite niente. Ho bisogno di parlar con lui.
Nardo. Benissimo; s’egli è nella stanza sua, non c’è bisogno d’altro. (Principio quasi a trovarlo il motivo delle discordie loro). (da sè)
SCENA XI.
Angiola, poi Fabrizio.
Angiola. Me l’ha fatta lo sciagurato. M’ha impegnato il gioiello cogli spilloni. Manco male che li ha dati in mano d’un galantuomo. So ch’egli è un uomo tanto civile, che sentirà volentieri le mie ragioni. Chi sa che non mi riesca di riavere le gioje, con buona maniera, senza il denaro. Finalmente sono mie le gioje, e da mio marito può farsi rimettere li dugento scudi.
Fabrizio. Che mi comanda la signor’Angiola?
Angiola. Perdoni se son venuta ad incomodarla.
Fabrizio. In che la posso servire, signora?
Angiola. Ho necessità di discorrere seco lei un poco.
Fabrizio. Ed io qui sono per ascoltarla. S’accomodi. (la fa sedere)
Angiola. Ma se ha qualche affar di premura, che io le interrompa, me lo dica liberamente. (sedendo)
Fabrizio. Niente, signora, non ho alcuna faccenda ora.