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374 | ATTO SECONDO |
Fabrizio. Per me non ho questo bisogno. Sapete quante volte, per ragione degli affari di piazza, sono solito a star così fino alla nera notte.
Anselmo. Oh, io poi sì fatte cose non le ho volute mai. Ho saputo prendere il mio tempo; non ho trascurato gl’interessi miei; ma mangiare ho voluto sempre; ed ora che son vecchio, grazie al cielo l’appetito mi serve, e quando è una cert’ora, bisogna ch’io mangi.
Costanza. Sollecitatevi, Nardo.
Nardo. Farò più presto che potrò.
Anselmo. Che cosa c’è di buono stamane?
Nardo. C’è una minestra d’erbe...
Anselmo. Coll’ovo dentro, eh?
Fabrizio. Fino che venga l’ora del desinare, anderò avanzando tempo, per non istare così colle mani in mano. Principierò a rispondere a qualche lettera1.
Anselmo. Sì, bravo; farete bene; così nel dì della posta vi troverete un po’ sollevato, e potrete scrivere a più bell’agio.
Costanza. Non verreste prima con me un poco? (a Fabrizio)
Fabrizio. Avete bisogno di nulla?
Costanza. Vorrei mostrarvi una cosa.
Anselmo. Via, andate a vedere quello che vostra moglie vi vuol mostrare. (a Fabrizio)
Fabrizio. Si può sapere cos’è che mi volete mostrare?
Anselmo. Andate con lei; ci vuol tanto? Oh, se fosse viva la buona memoria della mia Cassandra, non me lo farei dire due volte.
Costanza. Vorrei mostrarvi le gioje...
Anselmo. Sentite? Le gioje vi vuol mostrare. Oh figlio mio, che bella gioja è la moglie!
Fabrizio. Io credo che non vi avrete fatto ingannare, e però non vi è bisogno ch’io veda...
Costanza. Pazienza! conosco che non siete ancora coll’animo pienamente sereno.
- ↑ Guibert-Orgeas, Zatta ecc.: a scrivere qualche lettera.