Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XII.djvu/376

370 ATTO SECONDO


Costanza. Ma io non gliene ho dati che cento soli.

Fabrizio. Voi avete dato cento scudi?

Costanza. Io sì.

Fabrizio. A chi?

Costanza. Alla signor’Angiola.

Fabrizio. Così colle mani vuote? senza sicurezza veruna?

Costanza. Non signore; non lo sapete voi pure, che mi ha dato le gioje in pegno? Non ve l’ha detto il marito suo?

Fabrizio. Il marito suo ha dato a me un giojello e due spilloni; ed io su questi gli ho prestati dugento scudi.

Costanza. E a me la signor’Angiola ha portato un pajo pendenti e un anello, e mi ha pregato che le prestassi cento scudi.

Fabrizio. E a lei li avete prestati? (un poco alterato)

Costanza. Sì, io. Ho fatto male?

Fabrizio. Dar fuori cento scudi, senza dir niente ne al suocero, ne al marito, non mi pare cosa molto ben fatta.

Costanza. Mi ha pregato che non lo dicessi.

Fabrizio. Tanto peggio. Una donna prudente non lo doveva fare. Dovevate dirle, che le mogli savie non fanno le cose di nascosto dei mariti loro.

Costanza. La compassione m’ha indotto a farlo.

Fabrizio. La compassione, la carità, tutto quel che volete, ha da cedere il luogo al rispetto e alla convenienza.

Costanza. Non mi pare aver fatto gran male.

Fabrizio. Che paia a voi, o non paia, vi torno a dire che avete fatto malissimo. E poi dar cento scudi, acciò sieno cagione di nuovi scandali, è molto peggio ancora.

Costanza. Peggio voi, compatitemi, che ne avete dati dugento. Fabrizio, lo li ho dati a buon fine.

Costanza. Ed io colla migliore intenzione di questo mondo.

Fabrizio. Orsù, non vo’ contendere; ma non mi aspettava da voi un arbitrio simile.

Costanza. Mi dispiace nell’anima averlo fatto; ma non credo poi di meritarmi un sì fatto rimprovero. Dacchè son vostra moglie, non mi avete detto altrettanto; pazienza.