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364 ATTO PRIMO


Raimondo. Ed io al signor Fabrizio.

Angiola. Avreste bisogno di venirci spesso da lui, per imparare a vivere.

Raimondo. E voi stareste bene un paio d’anni in educazione della signora Costanza, per cambiar sistema; ma non fareste niente, io credo; avete troppo il capo sventato.

Angiola. La padella dice al paiuolo che non la tinga. Oh, voi avete del sale in zucca!

Raimondo. Più di voi certo, che una donna alla fin fine non dee mettersi in paragone degli uomini, e dee pensare che la riputazione si perde presto.

Angiola. Io non faccio cose che non sieno da fare. Nè di me si può dire quello che si dice di voi.

Raimondo. Io so che dacchè siete venuta voi in questa casa, vi è entrato il diavolo.

Angiola. C’era il diavolo prima che ci venissi. Ce l’ho trovato io.

Raimondo. Che sì, che siete venuta qui per denari?

Angiola. Per denari? per farne che? Tocca a voi a pensare al mantenimento della casa, non tocca me.

Raimondo. Voi pensate al mantenimento del giuoco.

Angiola. E voi al giuoco e alla comare.

Raimondo. E voi al giuoco e al compare.

Angiola. Chi mal fa, mal pensa. Ci giuoco io, che siete venuto voi per denari.

Raimondo. Oh sì, che in questa casa ne danno a chi ne vuole. Sono genti che hanno giudizio; non ne prestano sì facilmente.

Angiola. Gli è vero che sono cauti per non gettare; ma col pegno in mano, potrebbono anche far un piacere.

Raimondo. Che sì, che ve l’hanno fatto col pegno in mano?

Angiola. Sì eh? Basta così, ho capito. So perchè ci siete venuto.

Raimondo. Voi mi credete tinto della vostra pece.

Angiola. Or non c’è più niente in casa. Quelle poche gioje, e poi è finita.

Raimondo. Spero non averete l’ardire di disporne senza consenso mio.