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362 ATTO PRIMO


SCENA XVI.

Lisetta e Nardo.

Nardo. Ci sono ancora le visite dai padroni?

Lisetta. Ci sono. Anzi la padrona colla signor’Angiola sono passate nello stanzino, e parvemi che aprisse l’armadio, e ci giocherei che le presta delli denari.

Nardo. È facile, perchè in casa del signor Raimondo contrasta, come si suol dire, il desinar colla cena.

Lisetta. Zitto, che la padrona non vuole che si dica mal di nessuno.

Nardo. Fin qui non c’è male, che s’abbia a dire si mormora; ma se si volesse discorrere sopra di loro, si farebbero de’ romanzi.

Lisetta. Raccontatemi qualche cosa.

Nardo. No, no; i padroni non hanno piacere che si mormori.

Lisetta. Non si può dire senza mormorare?

Nardo. Non lo so io; se, per esempio, dicessi che marito e moglie giocano da disperati?

Lisetta. Si dice che giocano per divertimento.

Nardo. E se dicessi che il giuoco li ha rovinati?

Lisetta. Basta dire che hanno giocato del suo, che del suo ciascheduno può far quel che vuole.

Nardo. Ma se hanno fatto dei debiti per giocare?

Lisetta. Si può soggiungere che li pagheranno.

Nardo. Basta, in quanto al giuoco si può colorire la mormorazione; ma se passassimo a certi altri vizietti?

Lisetta. E sono?

Nardo. No, no; se lo sapessero i padroni, l’averebbono a sdegno; e non abbiamo da fare in segreto cosa che da loro ci vien comandato non fare.

Lisetta. Si può ben dire qualche cosa, senza entrar nel massiccio; e in tutte le cose sento dire che vi è il più ed il meno. Non dico che mi diciate tutto; ma così, delle coserelle che non sieno cosaccie.

Nardo. Per esempio, se dicessi che il signor Raimondo ha una comare, con cui ci spende l’osso del collo?