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358 ATTO PRIMO


Costanza. Quando non v’è altro modo, l’aiutarsi col suo è sempre bene. Le gioje si fanno anche con questo fine, per valersene nelle occasioni.

Angiola. Mi dispiace che andar in mano di certi cani, l’usura mangia il capitale.

Costanza. Quanto sarebbe il bisogno suo, signor’Angiola?

Angiola. Cento scudi, signora, e se non fosse il mio troppo ardire...

Costanza. Basta così; non dica altro, che voglio aver il piacere di servirla senza che provi pena nel domandare. Mi figuro anch’io, (quantunque per grazia del cielo non mi sia trovata mai in questo stato) mi figuro quanto rincrescimento abbia da provare una persona civile a confidare le sue indigenze; ma avendole confidate a me, può esser certa che non lo saprà nessuno. Cento scudi li ho di mio, uniti a poco per volta coi regaletti che mi fa mio marito, ed alcuni utili che mi lascia sopra certi capi minuti del negozio nostro.

Angiola. Certo ella farà una carità fiorita.

Costanza. Terrò le gioje in deposito. E quando potrà...

Angiola. E mi ho da privare d’una parte delle mie gioje?

Costanza. Non so che dire. Io mi esibisco servirla, e mi prendo la libertà di farlo senza chiedere la permissione a nessuno. È vero che i denari sono in mio potere; ma quello che è della moglie, è del marito; e all’incirca sa bene egli ancora quanti denari trovar mi posso. E se venisse un giorno in curiosità di vederli, che vorrebbe ch’io gli dicessi? Finalmente, se troverà le gioje, dirò che ho creduto bene far un piacere...

Angiola. La prego di non dirglielo almeno senza una precisa necessità. Mi vergognerei ch’egli lo sapesse.

Costanza. Le prometto che non lo dirò, quando non fossi in necessità di doverlo dire.

Angiola. Tenga i pendenti e l’anello. Glieli raccomando.

Costanza. Favorisca di passar meco nel mio stanzino; dove mi vedrà metterli, li troverà sempre, volendo.

Angiola. Vada pure; non vi è bisogno ch’io veda.

Costanza. Venga, che le conterò il denaro.