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356 ATTO PRIMO


Angiola. Già tutto il vicinato sa il suo modo di vivere. Da pochi giorni in qua ha una certa pratica d’una donna...

Costanza. Isabella, andate a dipanare in quell’altra camera.

Isabella. Sì signora. (s’alza) con sua licenza. (ad Angiola) (Quasi quasi aveva curiosità di sentire, ma la signora madre comanda). (da sè, e parte)

Costanza. Portatele l’arcolaio. (a Lisetta)

Lisetta. Sì, signora. (Ne vuole avere un pesto ora la mia padrona). (da sè; prende l'arcolaio e parte)

SCENA XIII.

Costanza e Angiola.

Angiola. (Gran delicatezza che ha per la sua figliuola! Mia madre non ha fatto così con me). (da sè)

Costanza. Ora possiamo parlare con libertà.

Angiola. Eh, non avrei detto cose...

Costanza. È meglio così: le fanciulle fanno caso di tutto.

Angiola. Per tornare dunque al proposito nostro, signora Costanza, io sono una femmina disperata.

Costanza. Perchè mai? Il signor Raimondo è un galantuomo, un uomo civile; hanno del bene, sono senza figliuoli, dovrebbono vivere colla maggior quiete del mondo.

Angiola. Eh signora, se non vi è giudizio nel capo di casa, non vi può essere la quiete. Mio marito ha una pratica.

Costanza. Ma lo sa di certo? Potrebbono essere le male lingue che l’avessero detto.

Angiola. Lo so di certissimo. Pur troppo per me, che dacchè ha quest’impegno, non mi può più vedere, e non dorme nemmeno nella mia camera, e se gli dico una buona parola, mi risponde di bu e di ba.

Costanza. Oh, che dice mai? Manco male che non vi è la ragazza.

Angiola. Le dirò solamente questa...

Costanza. Cara signor’Angiola, sono cose che il dirle a me non le può recare sollievo alcuno; si risparmi il rammarico di raccontarle.