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352 | ATTO PRIMO |
manca di parola, pazienza. Il danno non è gran cosa, e la piazza già lo condanna.
Anselmo. Bravo, che tu sia benedetto. (gli dà un bacio)
Isabella. È picchiato all’uscio, mi pare.
Lisetta. Andrò a vedere. (s’alza e parte)
SCENA VII.
Costanza, Isabella, Fabrizio, Anselmo.
Anselmo. Mangiamoceli noi i denari che ci avrebbono a mangiar le liti. Questa sera ha da venirmi a trovar mio compare collo speziale e il dottore. Volete voi Fabrizio che diamo loro un po’ di merenda?
Fabrizio. Non siete voi il padrone, signore?
Anselmo. Ma io ho piacere che tutto quello si fa, sia concordemente fatto. L’aggradite voi, signora nuora?
Costanza. Sì signore, quello che è di vostro piacere, è di piacer mio.
Anselmo. Volete invitar nessuno, voi? (a Costanza)
Costanza. Non saprei chi invitare io, perchè in oggi non si può trattar nessuno senza mettersi in soggezione. Da noi si va a letto presto, e pare, quando viene qui qualcheduno, che gli si faccia uno sgarbo a dirgli che siamo avvezzi a ritirarci per tempo. Io godo la mia quiete; mi diverto colla mia famiglia, e non pratico volentieri.
Anselmo. Oh, si sta pur meglio soli. Mio compare e lo speziale sono come siam noi; e il dottore, che è ragionevole, si ritira per tempo.
SCENA VIII.
Lisetta e detti.
Lisetta. Sa ella chi è, signora? (a Costanza)
Costanza. Chi mai?
Lisetta. La signor’Angiola, che la vorrebbe riverire. Ha fatto picchiare all’uscio, per vedere se le torna comodo ora, o più tardi.