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Tra le collezioni drammatiche vi aveva scoperto anche un Teatro inglese... Se mai, lo Shakespeare non vi poteva essere che nella lingua originale. Poichè il Goldoni non seppe l’inglese nè allora nè poi, non ne avrà conosciuto le opere prima del 1745, anno in cui uscì la traduzione del Laplace. Questo, ammesso che già allora conoscesse tanto di francese da poterla intendere. I due soli spunti shakespeariani finora avvertiti nel suo teatro: nel Teatro comico gli ammonimenti d’Ottavio ai comici (a. III, sc. III) che ricordano un noto passo dell’ Amleto (a. III, se. II) (Lüder, C. G. in seinem Verhaltniss zu Molière, Berlin, 1883, p. 14, 15; Brosch, C. G., Beilage zur Allg. Zeitung, Monaco, 23 febbr. 1907), e delle Morbinose l’idea prima che fa pensare alle Allegre comari (Cuman, La riforma del teatro comico italiano e C. G., Ateneo Veneto, marzo-aprile 1900, p. 202) non recano in se sì stretti rapporti d’affinità che si possa discorrer di fonti (cfr., per le Morbinose, M. Ortiz, La cultura del G., Giorn. stor. d. lett. ital., 1906, vol. XLVIII, p. 35). Nè la commedia nè la lettera di dedica ci dicono il pensiero del Goldoni sul poeta inglese. Bene avverte il Brognoligo che nella satira dei Malcontenti è quasi solo questione di stile: «....se si accenna qua e là a qualche cosa che vada oltre a ciò, subito vi si ritorna, e con maggiore insistenza» (studio cit., p. 49). Nè il giudizio contenuto nella dedicatoria ha nulla di personale. «Mi paiono — scrive il Graf — parole prese in prestito, e l’allusione a miseri imitatori è vaga assai, come tutto il resto» L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII. Torino, 1911, p. 317). Non ha torto lo Scherillo quando in un’uscita di Geronimo [«costui [Grisologo] ha letto il teatro inglese e s’è innamorato dello stile di Sachespir; chi sa se avrà preso il buono o il cattivo di quest’autore!»] fiuta «l’influenza della pedantesca e capziosa critica del Voltaire» (Ammiratori ed imitatori dello Shakespeare prima del Manzoni. Nuova Antologia, 16 nov. 1892, p. 231 ). Nè in verità le opere dell’inglese gli potevano garbare gran fatto poichè «il tipo di commedia da lui vagheggiato era il classico, il classico ravvivato dalla mente sovrana del Machiavelli» (Brognoligo, studio cit., p. 43).

Dopo l’insuccesso di Verona ritroviamo traccia dei Malcontenti nel 1759 a Modena, dove nel carnovale l’eseguiscono i convittori del Collegio Ducale (Gandini, Cronistoria ecc., Modena, 1873, voi. II, p. 251); di nuovo a Modena dieci anni dopo e nel 1768 a Reggio (Modena a C. G., 1907, pp. 240, 348). Trascorsi più decenni, pei quali le infruttuose nostre ricerche non significano certo oblio totale della commedia, questa riappare nel 1828 a Torino, interprete la Reale Sarda (Costetti, op. cit.; pp. 69-71), ma pubblico e critica la condannarono unanimi. Notevole per più riguardi quanto si legge in argomento nella rivista I Teatri di Milano (6 marzo 1829, p. 790). L’articolista riportando il giudizio della Gazzetta Torinese mostra velleità di allargare il biasimo a tutta l’opera del Goldoni. Troppo freddo l’argomento per «destare un vivo interesse». «Spiacque a taluni altresì il veder condannare, col mezzo del ridicolo, un genere di teatrali rappresentazioni non ancor ammesso nè proscritto dai dotti: urtò finalmente col buon senno dell’universale il veder Ridolfo e il nipote Grisologo introdursi nello scrittoio dello zio Geronimo per forzarne lo scrigno, e torne quanto danaro bastasse per ispendere e spandere in villa: segni manifesti di disapprovazione dati di così iniqua azione dal Pubblico mostrano apertamente ch’esso sente con noi che la commedia