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308 ATTO TERZO


Grisologo. (Si cava il cappello e resta confuso.)

Ridolfo. Servitor umilissimo.

Cricca. (Il tempo non ha loro servito. Hanno fatto qualche danno all’armadio; ma non l’hanno aperto). (piano a Geronimo)

Ridolfo. Con licenza di lor signori. (vuol partire)

Geronimo. Favorisca trattenersi un momento.

Grisologo. (Povero me! non so in che mondo mi sia). (da sè)

Ridolfo. Signore, se mi vedete uscire da quella stanza

Geronimo. Lasciate parlare a me, signore. Quando toccherà a voi, lo farete. Signor Policastro, ecco il vostro degno figliuolo, di cui ho da farvi conoscere un’altra bella virtù. Sapete voi che cosa faceva egli entro di quella camera? Tentava di aprire il mio armadio per prendere il denaro; ed il degnissimo signor Ridolfo gli serviva di scorta.

Policastro. Io non so niente. Io non c’entro per niente.

Ridolfo. Io non l’ho consigliato a farlo....

Geronimo. Lo credo benissimo.

Grisologo. Io finalmente voleva prendere....

Geronimo. Sì, nipote carissimo, so che volete dirmi, prevedo le vostre oneste difese, e voglio io contro di me medesimo far per voi l’avvocato. Io finalmente (intendevate dirmi) non voleva prendere che roba mia. Il signore zio maneggia le entrate della casa, che tiene rigorosamente serrate. Noi non siamo padroni di niente. Se si vuol un divertimento, non si può avere; se si vuol andar in villa, non si può andare. Ed io vorrei andare in campagna con mia sorella, col mio signor padre; ed in mancanza d’assegnamenti, non faceva che prendere colle mie mani quello che dal signor zio mi sarebbe stato barbaramente negato. Per farlo, non aveva coraggio io solo, ho pregato l’amico; l’amico, persuaso delle mie ragioni, mi ha assistito; ma siamo due galantuomini, due persone oneste, incapaci di prendere quello che non è nostro, incapaci di una furfanteria. Eh? dico bene? sono queste le difese vostre? quelle del signor Ridolfo quelle del signor Policastro?

Policastro. Io non so niente. Non c’entro per niente, io.